Nella Zona da Mata Norte (Pernambuco) prima del carnevale si fanno le prove di maracatu. Ogni sabato notte c’è sempre una comunità rurale che si stringe attorno a un circolo di danze, musica e canti per prepararsi alla presentazione in città con maschere e colori. Ma la vita di questa manifestazione è tutta qui, nelle prove. Senza colori sgargianti, senza maschere spettacolari, senza ansie da esibizione in pubblico il popolo del maracatu si presenta nudo, a mostrare senza veli tutto il suo vigore. E le forze che spartisce sono ampie e contagiose, pervadono i corpi in un’alternarsi di dare e ricevere, di ascolto rispettoso e catarsi collettiva, in un gioco che ricorda un passato lontano, quando gli antenati vivevano in armonia con la foresta. Ora non c’è più foresta, il luogo è cambiato, sono campi di canna. Che ciclicamente va tagliata, raccolta, pulita e lavorata. Per raccoglierne il succo dolce che il tempo ha reso stucchevole al sapore, più simile all’amaro di una vita dura e sfruttata.
Nelle prove di maracatu si sente questo dolce amaro: è rabbia modulata in forme amorevoli, forze d’odio e paure, solitudini e rimpianti che la danza risolve in relazioni dolci e rispettose. E nella danza si percepisce la guerra come gioco, che mette in gioco le forze, che fortifica i partecipanti, non più lavoratori sottomessi ma guerrieri fieri e responsabili del benessere della loro tribù. C’è un alone di cultura indigena che aleggia nelle feste, ma essa è sospesa. E’ rarefatta, trasfigurata, si mostra nei volti e nei bastoni di ogni partecipante proprio nel momento in cui si sottrae da essi. Queste genti non sono più indios, né bianchi né africani. Sono una stirpe nuova: caboclos. Negli attimi in cui si fermano ad ascoltare il canto del loro mestre essi esibiscono la loro verità più intima: sono guerrieri indigeni che hanno perso la memoria. Ma non la loro forza. Le loro danze ripercorrono il cammino di una stirpe nobile, fiera e guerriera, in armonia con la natura, una tribù che è perduta per sempre. La festa dei caboclos risiede nell’impronta lasciata da queste genti. La Zona da Mata è un territorio ampio in cui germogliano forze inaudite, che vogliono urlare la loro rabbia e dire a tutto il mondo che il guerriero indio non è morto, ma vive nei corpi dei lavoratori della canna.